Dapprima sul giornale locale “Pozzuoli Magazine” e poi sul suo blog “I Campi Flegrei su Pozzuoli Magazine”, Giuseppe Peluso, da anni, continua a raccontarci, con lo scrupolo dello storico e una invidiabile capacità narrativa, eventi e particolarità dell’area flegrea assolutamente inediti. Tra i numerosi suoi articoli, ne pubblichiamo uno, di particolare interesse: il panico scatenatosi a Pozzuoli il 5 ottobre 1971 per l’accidentale attivazione di una sirena che – secondo lo sciagurato “piano di Protezione civile” di allora – avrebbe dovuto “allertare” la popolazione di Pozzuoli, già stremata per il bradisismo e i terremoti. Buona lettura.
Pozzuoli, Terra di Fuoco e Terra di Sirene; da quelle omeriche, melodiche e ammaliatrici, a quelle dei cantieri, stridule e persistenti, senza tralasciare quelle appetibili di famosi ristoranti. Quelle mitologiche stregano Ulisse e permettono ad Omero di svelare al mondo le bellezze di questi luoghi incantati. Quelle cantieristiche stregano gli operai e permettono a migliaia di Famiglie di apprezzare il benessere apportato dalla Armstrong. Quelle ristoratrici stregano gli avventori e permettono a frotte di turisti di godere della gastronomia flegrea. Angosciose testimonianze e ricordi familiari descrivono gli allarmi lanciati dalle sirene, durante la guerra, per avvertire di incursioni e bombardamenti.
Tutte queste sirene sono oggi scomparse, il nostro udito percepisce solo quelle dei mezzi di pronto intervento e quelle, sempre più numerose, che suonano giorno e notte allarmandoci per i frequenti furti. Non possiamo però non menzionare altre sirene puteolane non meno famose, anche queste legate a ricordi inquietanti, che fecero sentire la loro pungente voce nel corso della crisi bradisismica del 1970.
Il percorso dei ricordi inizia il 22 febbraio 1970 quando L’Unità, nell’articolo scritto da Eleonora Puntillo corrispondente dei Campi Flegrei, titola:“Brucia la terra sotto Pozzuoli?”.
Si tratta della prima testata nazionale ad occuparsi dell’anomala situazione di Pozzuoli, riportando in maniera cauta le avvisaglie dei movimenti della terra, percepite da pescatori e cittadini del luogo.
Il 2 marzo 1970 c’è poi la totale evacuazione del Rione Terra che segna una rottura tra la Pozzuoli di una volta e quella che verrà.
A questa forzata evacuazione fa seguito quella volontaria degli altri quartieri i cui abitanti, in preda al panico per una temuta improvvisa eruzione o di una forte scossa tellurica, scappano via dalla città cercando autonoma sistemazione. Il sindaco prof. Nino Gentile inutilmente tenta di fermare l’improvviso provvedimento di sgombero e la lunga autocolonna di camion militari, bus dell’ATAN e altri mezzi civili che, per ordine del prefetto, s’è messa in viaggio verso Pozzuoli.
Gentile, e l’assessore Causa, tentano di impedire questo provvedimento perché intuiscono le gravi conseguenze che comporta; le autorità non hanno previsto l’ondata di paura e il susseguente esodo di massa che mette in atto meccanismi economici, politici, sociali troppo grandi e complessi che quelle stesse autorità non possono fronteggiare.
Ben presto ci si rende conto che nulla succede di catastrofico e le divergenze fra studiosi Italiani, francesi e giapponesi, diventano vere e proprie risse scientifiche. Coloro che dovrebbero impostare correttamente uno studio qualificato da trasmettere alle autorità hanno pareri diversi sull’origine e sugli sviluppi futuri del fenomeno. A loro volta i poteri dello Stato, pur tra loro litigando, cercano di trovare una soluzione che favorisca il rientro della popolazione; almeno di tutti coloro che occupano stabili perfettamente agibili.
Già il 20 marzo è resa pubblica la notizia che cinque sirene, l’una dopo l’altra, taglieranno l’aria di Pozzuoli; e questa sarà la prova dell’allarme che dovrebbe in futuro scattare per avvertire la cittadinanza di allontanarsi.
Naturalmente non si sa bene in quale caso di preciso fenomeno, (terremoto, eruzione?) e per iniziativa di chi dovrebbero poi suonare per avvisare dell’imminente pericolo.
Le cinque sirene saranno montate sui tetti dei seguenti edifici: Caserma dei Carabinieri , Caserma della Guardia di Finanza, Ospedale dell’Ordine dei Cavalieri di Malta , Scuola Monte Nuovo ad Arco Felice, Stabilimento termale sul lungomare.
In assenza di altri chiarimenti l’ipotesi più logica sembra che questi dispositivi possano entrare in funzione in caso di scosse sismiche ed i puteolani si augurano che i sismografi, alla cui sensibilità è affidata la loro sorte, non siano di quelli che han bisogno di essere sorvegliati e magari smentiti da altri strumenti ed altri osservatori esteri; come pubblicamente sta succedendo.
La sfiducia dell’opinione pubblica, nei confronti di coloro che possedendo un potere accademico godono ora anche di potere politico, è confermata anche dai risultati cui è pervenuta la Commissione Speciale su Pozzuoli del Consiglio Nazionale delle Ricerche.
Ad un mese dal giorno in cui il problema è stato reso noto in tutta la sua gravità il presidente del CNR dichiara che si parte praticamente da zero con lo studio e che si è stabilito di intensificare i rilevamenti per acquisire ulteriori dati.
Non si tratta della solita calamità, come per il terremoto, che una volta avvenuto preoccupa solo per eventuali ripetizioni e quasi sempre a distanza di anni, bensì di fenomeni che si sviluppano giorno per giorno e che occorre prevenire e consentire ai residenti di rimanere nella zona.
Il fenomeno sta provocando un notevole sollevamento del suolo che, in alcune zone, nel marzo del 1970 ha di già raggiunto il metro e si fa notare che un simile sollevamento non può essere considerato cosa da nulla per velocità e proporzioni; l’unico notevole sollevamento verificatosi nelle Haway, prima di quello di Pozzuoli, è stato di appena 50 centimetri ed è stato seguito da una eruzione.
I puteolani non vogliono spostarsi ne’ allontanarsi, dicono no alla logica delle deportazioni, perciò occorre creare delle vie di evacuazione, che restino sgombre, e nello stesso tempo le sirene, come in tempo di guerra, dovrebbero dare tranquillità alla popolazione. Forse non serve a molto, perché quando suona la sirena il disastro è già avvenuto, ma sono importanti dal punto di vista psicologico e pertanto sono installate e, per accertarsi del loro buon funzionamento, alle ore 12.00 d’ogni domenica sono fatte squillare per circa un minuto.
Nelle prime domeniche piazze e strade del centro s’affollano di curiosi che giusto a mezzogiorno bloccano ogni loro movimento; chi passeggia si ferma, che guida ferma l’auto, chi lavora sospende momentaneamente l’attività, i commercianti escono dai negozi e chi è in casa s’affaccia ai balconi.
Durante il latrare delle sirene ci si guarda tutti sorridenti e fiduciosi; il puteolano acquisisce fiducia e tranquillità, ama credere che lassù c’è qualcuno che veglia su dl lui.
Come previsto le sirene raggiungono il loro scopo, la loro semplice presenza incute sicurezza, molto più che le parole e gli incitamenti di politici e scienziati.
C’è il ritorno delle Famiglie e man mano la città riprende a vivere; alle sirene non si presta più tanta attenzione, per i puteolani, come il cannone del Gianicolo per i romani, è l’occasione di controllare gli orologi.
Poi improvvisamente, alle 21.50 di mercoledì 5 ottobre 1971, uno degli ordigni si mette ad urlare da solo senza che entrino in funzione gli altri quattro. La Sirena “antibradisisma” piazzata sul tetto della caserma dei Carabinieri in via Carlo Rosini suona per diciotto lunghissimi minuti resistendo al violento strappo dei fili ed alle manganellate dei volenterosi militi.
Nella città si scatena il caos e decine di migliaia di persone, che ben conoscono il particolare tono di questa sirena, si precipitano per le strade fuggendo dalle abitazione e raggruppandosi in luoghi aperti; s’aspettano una imminente catastrofe.
Chi ha l’auto si dirige verso la statale “Domiziana”, unica via di uscita da Pozzuoli; ma dopo pochi minuti resta imbottigliato dando inizio ad un disperato ed assordante concerto di clacson.
La maggior parte della popolazione si riversa sul lungomare di via Napoli e in Piazza della Repubblica, dove c’è spazio e ci si può salvare nel caso crollino i palazzi; anche qui, nel giro di cinque minuti, è un assordante coro di grida, di pianti, di richiesta di aiuto.
Molti iniziano a correre qua e là come forsennati e storditi per effetto della paura; quando il terrore è generale il popolo è schiacciato, la terra è scossa, e non c’è da meravigliarsi che gli animi, abbandonati e in preda al dolore, siano smarriti.
Una gran folla di precipita alla “residenza” dei Vigili Urbani, dove si sa che almeno due dovrebbero essere di guardia; si sfonda la porta ma dentro non c’è nessuno cui chiedere spiegazioni. Altra folla assedia il Commissariato di Polizia nella villa comunale e la Caserma dei Carabinieri dalla quale subito parte la notizia che deve trattarsi di un guasto o di un corto circuito, e spiegano che non si riusciva a farla stare zitta finché, dopo averne tirati via molti altri, non si è strappato via il filo buono.
Numerosi i piccoli incidenti come quello capitato al quindicenne Franco D’Isanto che, uscendo di corsa dal cinema in cui si trova, è travolto dalla furibonda ressa e cade a terra dove resta con un piede fratturato.
Arrivano i Vigili del Fuoco, le Volanti della Polizia e le Gazzella dei Carabinieri, che non sanno cosa fare; pertanto, mediante le autoradio, si mettono in contatto con il Prefetto di Napoli che è l’unico posto dal quale possono venire comandate le sirene di allarme. Dalla prefettura riferiscono che, non essendoci stato nessun preavviso d’allarme, non è stato schiacciato nessun bottone e non sanno come possa essere accaduto questo accidente.
Ancora non esiste la moderna Protezione Civile e ci si rende conto che manca quello che suona la campana, che dà l’allarme, che suona la sirena per avvertire del pericolo, Prefettura, Questura, Comune. Ufficio Tecnico, troppi a remare e a dare ordini. Ognuno si tiene il suo pezzetto di competenze e informazioni e dialoga troppo tardi con gli altri livelli di gestione.
Cittadini, politici e forze dell’ordine, onde evitare il peggio, insistono affinché possa trovarsi il mezzo di rassicurare la popolazione che ancora è per le strade; tutti fanno quello che possono urlando a gran voce senza però riuscirci causa la gran confusione. Allora compagni sindacalisti corrono in moto, in bicicletta ed a piedi presso lo stabilimento SOFER dove nella locale sezione della Camera del Lavoro ritirano dei megafoni.
Tutti i telefoni di Pozzuoli risultano, tra le ore 22.00 e le ore 24.00, privi di linea perché la cittadinanza si attacca al telefono chiamando parenti, amici, comune, prefettura, polizia, carabinieri; il sovraccarico ha annullato del tutto questo mezzo di comunicazione, aggravando ancor di più il panico e l’angoscia.
L’urlo della sirena coincide poi con una serie di altri episodi che, messi insieme, concorrono a creare il panico. Il giorno prima Pozzuoli è stata invasa da militari che eseguono rilievi e misurazioni e non si tratta delle ordinarie “campagne di rilevamento” che sono eseguite periodicamente.
Un elicottero militare è stato poi visto sorvolare a bassa quota la città mentre ancora urla la sirena, e questo avvalora la tesi di un allarme programmato.
La folla non sa, ne può sapere, dove andare; l’allarme non vale assolutamente nulla se serve soltanto a buttare giù la gente dal letto e a farla radunare in piazza. Il tutto crea solo panico e caos anche in considerazione che gran parte della popolazione ancora non è motorizzata e comunque esiste un’unica strada di uscita intasatissima e costellata di palazzi pericolanti.
Questo episodio conferma che le condizioni di sicurezza di una città sono nulle se non esistono idonee via di fuga che si innestino agevolmente nella grande viabilità nazionale senza dover passare attraverso blocchi e strozzature.
I dissesti provocati dal movimento del suolo, che nel 1971 ancora continua ad innalzarsi, hanno bloccato numerose strade interne della città dove gli abitanti in buona parte, tranne quelli del Rione Terra, sono rientrati pur sentendosi come in una trappola.
Il giorno dopo il popolo di Pozzuoli, terrorizzato, si chiede come mai non sia accaduto di peggio; solo la fortuna ha voluto che non ci siano state vittime ed i soggetti nervosi ed ansiosi (parecchi tra anziani, donne e bambini) restano a letto e prendono calmanti per cercare di mandar via l’angoscia.
E’ importante parlare di “effetti psicologici” durante i rischi sismici; storicamente tra i primi a mettere in relazione i due elementi è Seneca che con grande intuizione pone in luce alcuni aspetti chiave del rapporto, inversamente proporzionale, tra la mancanza di conoscenza di un fenomeno “naturale” e l‘amplificazione della paura. Non è facile restare in sé in mezzo a grandi catastrofi e quasi sempre le menti più deboli sono prese dal panico rendendole simili a un pazzo, pur senza pregiudicare la loro sanità mentale.
Molti, che hanno parenti o comunque punti di appoggio lontani da Pozzuoli, ancora una volta mettono le loro masserizie sui furgoncini e abbandonano le loro case come fatto il 2 marzo del 1970.
CREDITI
Eleonora Puntillo – L’Unità Articoli vari
Federica La Longa – Effetti psicologici del terremoto
Lux in Fabula – Bradisismo flegreo
Senato della Repubblica – Resoconti Stenografici