Nato nel 2002, il “Progetto Vesuvìa portato avanti dalla Regione Campania nell’ambito di un FERS-POR è stato il primo (e per ora unico) tentativo di diradare la presenza antropica e abitativa e ad innescare una nuova fase di sviluppo sostenibile del territorio del Vesuvio in maniera strettamente collegata con le improrogabili scelte finalizzate all’attenuazione del grave rischio vulcanico.
L’idea forza del Programma era “la scelta possibile: il rischio diventa una risorsa”: una strategia innovativa da attuarsi attraverso un complesso sistema di azioni integrate territoriali, materiali ed immateriali, a breve, media e lunga scadenza, sul modello sperimentato nei Pit del Por Campania. In particolare Vesuvìa, mirava a trasformare il potenziale rischio, determinato da una sempre possibile crisi esplosiva del Vesuvio, in un’opportunità di sviluppo territoriale a partire da alcuni fattori indotti dalle politiche di mitigazione del rischio che creano le opportunità per il recupero e la valorizzazione dello straordinario patrimonio culturale e naturale vesuviano.
Per il Progetto Vesuvìa furono stanziati complessivamente 724 milioni di euro (ripartito in 583 milioni a bilancio ordinario e 141 milioni da fondi europei):
– 30 milioni di euro furono destinati, a fondo perduto, a chi viveva in affitto da almeno cinque anni nella Zona Rossa (massimo di 30.000 euro a famiglia) come incentivo all’acquisto di una nuova abitazione esterna alla Zona Rossa. Il bando era destinato ai redditi inferiori ai 25.000 euro annui.
– 93 milioni di euro furono destinati ad agevolazioni per le Cooperative o Imprese edilizie che avrebbero realizzato alloggi di nuova costruzione o interventi di recupero edilizio da assegnazione in proprietà o in locazione a nuclei familiari residenti da almeno cinque anni in uno dei comuni della Zona Rossa;
– 10 milioni di euro furono destinati a un progetto pilota che avrebbe incentivato alcune famiglie del comune di Boscoreale, residenti in alloggi di edilizia pubblica, a trasferirsi in nuovi alloggi realizzati dalla Regione con conseguente abbattimento di quelli originari (il caso di Villa Regina, nel comune di Boscoreale, rappresenta la prima esperienza pilota per sperimentare la strategia del programma Vesuvìa).
– 10 milioni furono destinati ai proprietari degli immobili per incentivare la nascita di nuove imprese turistico-ricettive tramite la riconversione delle abitazioni “abbandonate” in seguito al trasferimento;
– 180 mila euro furono destinati: al contrasto dell’attività edilizia per la realizzazione di nuove residenze e alla riconversione di quelle esistenti in attività produttive; ad attività di formazione in ambitoscolastico e di formazione per la cittadinanza tutta; al bando per lo studio di fattibilità di una società di trasformazione territoriale, a maggioranza pubblica, alla quale affidare il coordinamento degli interventi di riqualificazione del territorio; al funzionamento dell’assemblea dei sindaci dei comuni interessati dal programma di mitigazione del rischio Vesuvio (al quale partecipano anche la Provincia di Napoli e l’Ente Parco Nazionale del Vesuvio)
Il Progetto Vesuvìa fu ben presto accantonato, soprattutto per il dirottamento dei fondi ad esso destinato. Nel 2017, il Rapporto sulla Promozione della sicurezza dai Rischi naturali del Patrimonio abitativo presentato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dalla Struttura di “Missione Casa Italia” così analizzava alcune delle cause che hanno determinato la fine del Progetto Vesuvìa:
“Limiti e problemi del progetto: moral hazard: ottenuto l’incentivo alcune famiglie beneficiarie hanno affittato le proprie abitazioni d’origine ad altre famiglie. Visione totalmente incentrata sul trasferimento di residenza e sulla riconversione degli immobili residenziali nell’area a rischio: il progetto non contemplava invece le difficoltà nell’allontanamento dal proprio tessuto sociale ed economico né quelle d’inserimento nei territori di destinazione esterni alla Zona Rossa”.
Il suddetto Rapporto si è soffermato inoltre sul Piano Strategico Operativo (PSO) per l’Area Vesuviana 2005-2006 (Riduzione dei pesi demografici e le politiche di sostegno alla mobilità abitativa previsto dalla Legge regionale n. 21/2003 (c.d. “Legge del Vesuvio”) susseguente al Piano Vesuvìa: “Il PSO era chiamato ad affrontare la condizione dell’area vesuviana attraverso ‒ tra le altre azioni ‒ l’attivazione di programmi di decompressione della densità abitativa. La LR 21/2003, che come si è visto ha bloccato la costruzione di nuove abitazioni nei comuni della Zona Rossa, ha previsto nel contempo “l’avvio di una pianificazione di lungo periodo – ma rapidamente efficace – per la riduzione della popolazione esposta” 96. Il Piano si poneva un obiettivo alquanto ambizioso avendo come orizzonte temporale quello fissato dal Quadro Comunitario di Sostegno 2007-2013, ma adottando come dato di riferimento quello del PTR approvato nel 2005 che aveva fissato l’obiettivo di riduzione della popolazione al 10% in 15-20 anni (circa 55.000 abitanti). La LR 21/2003 ha affidato la redazione del PSO dell’area vesuviana alla Provincia di Napoli che è stata così chiamata ad affrontare la questione della messa in sicurezza del territorio e del decongestionamento “premiando la riconversione d’uso degli immobili residenziali”97. In sintonia col precedente Progetto Vesuvìa il PSO ha quindi proposto la conversione degli edifici residenziali in edifici turistici o produttivi o il cambio di destinazione urbanistica delle aree residenziali in aree produttive (es. da zona omogenea C a D). La ragione di questa scelta sta in tre considerazioni: che la distruzione, o comunque l’inutilizzabilità, di edifici non residenziali non genererebbe sfollati in cerca di una casa, e ciò avrebbe conseguenze positive sulla gestione dell’emergenza e delle attività di evacuazione; che la LR 21/2003 ha nei fatti affidato al PSO il compito di trovare una soluzione complementare e compensativa del cosiddetto “blocco residenziale”98, ciò per mandare un chiaro messaggio alle popolazioni vesuviane insofferenti alle severità della normativa urbanistica, ovvero che è possibile “bloccare la residenza” senza tuttavia “bloccare lo sviluppo”, anzi offrendo a tutti nuove opportunità di sviluppo e di lavoro; che l’incertezza delle previsioni sul tipo di fenomeno eruttivo renderebbe estremamente più accettabile (ex post) eventuali evacuazioni precauzionali di edifici non residenziali. Tra le virtù del PSO vi è anche il ricorso a un approccio multi-hazard da cui la proposta di interventi localizzati principalmente lungo le aste fluviali in ragione del fatto che la componente idrografica è capace di giocare un ruolo di amplificazione degli effetti tragici originati dai fenomeni eruttivi. Si pensi ad esempio al fenomeno dei lahars (valanghe di fango composte da acqua e materiale piroclastico ancora caldo) e che potrebbe scaturire, come già avvenuto nel 1631, dall’impatto dell’evento vulcanico sul sistema idrografico esistente. Un altro concetto su cui si fonda il PSO è che gli “incentivi” funzionano solo in presenza di nuove e coordinate “normative” le quali a loro volta devono essere il più possibile il frutto dell’elaborazione di proposte provenienti “dal basso” e connotate localmente.”
Il suddetto Rapporto, inoltre, si soffermava sui disegni di legge “Programma straordinario di interventi per la mitigazione del rischio vulcanico nell’area flegrea e vesuviana” Pepe et al. e Cuomo, rispettivamente nn. 1606 e 1797) che riprendevano elementi presenti nel Progetto Vesuvìa, e sulla cosiddetta Legge speciale per Pozzuoli (Legge 475/1971) che, tra l’altro, prevedeva, ai fini della mitigazione del rischio vulcanico, l’acquisizione al demanio dello Stato del Rione Terra di Pozzuoli.
Documenti inerenti il “Piano Vesuvìa”
Progetto pilota per Boscoreale